Alle donne (vere) italiane3 min di lettura
Ieri sera, sul palco dell’Ariston, la giornalista Barbara Palombelli ha tenuto un discorso rivolto a tutte le donne italiane.
Le donne italiane hanno in questo momento un compito fondamentale, quello di tenere il Paese: tengono le scuole aperte attraverso i tablet, tengono le famiglie tranquille, accudiscono tantissime persone che hanno la positività.
In breve, il compito fondamentale delle donne, ancora una volta, è essere angeli del focolare, tranquillizzare, curare e accudire. Palombelli parla di fondamentale, quindi di fondamenta: solo se le donne avranno assolto il loro ruolo di “ammortizzatori sociali”, solo se “avranno tenuto le scuole aperte” vigilando sui figli in didattica a distanza, solo se avranno accudito chi si ammala, solo se in famiglia avranno mantenuto tiepidi gli animi, solo allora, solo in quel caso – forse – le donne potranno costruire qualcosa di meno fondamentale e chissà, magari potranno persino andare a lavorare.
Viene implicitamente dato per scontato che siano le donne, le donne italiane, a doversi sacrificare per svolgere queste mansioni famigliari, non si dice che in effetti è già così: il tasso di occupazione femminile in Italia è calato al 48.6%, il valore più basso dell’ultimo decennio e, come al solito, tra gli ultimi in Europa. Come mai? La chiusura delle scuole ha aumentato proprio quel “carico di cura” che Barbara Palombelli eleva a compito fondamentale delle donne. Che anche un uomo possa avvalersi di un congedo parentale Covid ed occuparsi dei figli in DDI non è minimamente contemplato. In Italia, il 76% di questi congedi è richiesto da madri lavoratrici.
Eppure, il discorso di Barbara Palombelli parla anche di lavoro, un termine ripreso più e più volte, fino all’appello:
Studiate fino alle lacrime, lavorate fino all’indipendenza, perché alla fine, dai e dai, funziona.
È davvero necessario studiare “fino alle lacrime” per trovare un lavoro ed ottenere l’indipendenza? Se ad una donna vengono richiesti sforzi così grandi – fino alle lacrime – per poter sperare che alla fine, dai e dai, possa servire a qualcosa, c’è un problema. Che le donne lavoratrici siano poche non dipende dal mancato studio – in Italia si laureano più donne che uomini e mediamente con voti più alti – ma da un problema sociale e quindi politico. Eppure, Palombelli dice che noi ragazze, noi donne giovani, i diritti li abbiamo trovati già fatti e quindi ci tocca solo difenderli – e farlo con il sorriso.
Io credo che ci sia ancora tanto da fare per raggiungere le pari opportunità e che, non solo sia necessario difendere i diritti che abbiamo, ma anche avanzare, senza rassegnarci all’idea che “ci umilieranno, cercheranno di metterci le mani addosso”, anzi pretendere che non accada. E pretenderlo con intelligenza e convinzione, non certo sorridendo a chi tenta di sottrarci diritti che sono stati conquistati faticosamente e, suppongo, non con il sorriso.
Chiude parlando di “donne vere”, quasi che per essere donna vada rispettato un catalogo di virtù, presentato un certificato o sostenuto un qualche esame. Cosa rende una donna “donna vera”? Non ci è dato saperlo, ma ascoltando possiamo farci un’idea. E, forse, di essere “donne vere” possiamo anche farne a meno.