Le foibe, tra parzialità e occultamento9 min di lettura
Cosa sono le foibe?
Il temine “foiba” proviene dal dialetto della regione giuliana, che a sua volta viene dal latino “fovea”, cioè fossa. Una parola di origine dialettale tradisce sempre un’appartenenza: questi pozzi incavati nel terreno sono propri del territorio istriano e dell’Altopiano Carsico.

Conosciamo il luogo, ma non gli accadimenti. La definizione proposta dal dizionario che ho consultato non è scorretta, ma incompleta. La parizalità di un racconto è già di per sé un occultamento e con questo silenzio il termine “foiba” ha dovuto convivere per troppo tempo. Di foibe non si è parlato a lungo, non solo su enciclopedie e vocabolari, ma neppure sui testi scolastici, se non forse quelli di scienze naturali.
Oggi, consultando un dizionario online o di recente edizione, alla prima definizione se ne accompagna un’altra. Inizia a svelarsi la storia delle foibe, negata per più di mezzo secolo.
Fosse comuni per l’occultamento dei cadaveri delle vittime di rappresaglie militari e di assassini politici, con particolare riferimento agli eccidi compiuti dai partigiani iugoslavi in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia nell’ultima fase della seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra.
La storia delle foibe
Se parliamo di foibe da un punto di vista storico, dobbiamo indagare alcuni avvenimenti della seconda guerra mondiale.
Prima del conflitto, la Venezia Giulia, comprendente tutta la zona istriana, era di dominio italiano.

L’8 settembre 1943 il IX Corpus Sloveno, inquadrato nella IV Armata jugoslava e composto da 50 000 uomini, venne informato dell’imminente proclamazione dell’armistizio e approfittò dello sbando delle truppe italiane. Attraversando le Alpi Giulie per dilagare nel Carso e nell’Istria, puntò su Gorizia, Trieste, Pola e Fiume.

La riconquista del territorio giuliano fu effettuata dalle truppe naziste con l’operazione Wolkenbruch (“Nubifragio”) tra il 9 settembre e il 15 ottobre. Tre divisioni corazzate SS e due divisioni di fanteria respinsero il IX Corpus: gli inflissero perdite pari a circa 15 000 uomini e distrussero le basi di appoggio degli jugoslavi.
Le province di Pola, Trieste, Gorizia, Fiume, Udine e quella autonoma, costituita su terra slovena, furono incluse nel Litorale Adriatico, costituito il 10 settembre 1943 e comprendente un territorio nominalmente ancora soggetto alla sovranità italiana ma posto sotto amministrazione militare tedesca.

Il genocidio degli italiani
Ci furono delle vere e proprie persecuzioni da parte dei partigiani jugoslavi nei confronti di migliaia di triestini e istriani, ma anche slavi, fascisti e antifascisti, che avrebbero potuto impedire la conquista di tutta la Venezia Giulia da parte del “maresciallo” Tito. Si trattò di un vero e proprio genocidio, perpetrato dal 1943 al 1947, anche oltre la fine della guerra.

Il numero delle vittime

Il numero dei cosiddetti “infoibati” è incerto. Lo storico Gianni Oliva ha scritto nel suo Foibe (Mondadori) che le vittime delle prime persecuzioni, quelle del settembre-ottobre 1943, sarebbero fra le 500 e le 700. Quantificare gli eccidi successivi è più complesso. Egli si esprime in questi termini:
Dal confronto fra i dati contrastanti a disposizione, si può […] ipotizzare la stima di circa diecimila persone eliminate nelle foibe o nei campi di concentramento, una cifra di riferimento che va presa con precauzione, ma che vale ad inquadrare il fenomeno entro le reali dimensioni di eccidio che esso ha assunto.
Altri storici ipotizzano cifre inferiori, tra cui Marina Cattaruzza che in L’Italia e il confine orientale (Il Mulino) presume oscillare il numero di vittime tra 4000 e 5000.
Più prudentemente, uno dei massimi storici dell’esodo, Raoul Pupo, dichiara:
Quando si parla delle vittime delle foibe l’importante è l’ordine di grandezza, che è di alcune migliaia.
Aldilà dell’effettivo numero, che spazierebbe fra 5000 e 15.000, il contesto geografico limitato ed il breve tempo in cui ebbero luogo le persecuzioni, la brutalità (dis)umana che le accompagnò e la rimozione storica durata per anni e anni lasciano intuire l’entità e le proporzioni di questa ferita ancora aperta.

L’esodo
Dopo le spartizioni territoriali del 1945, ed in particolare l’accordo Alexander-Tito del 6 giugno, alcune zone della Venezia Giulia, come quelle di Gorizia, Trieste e Monfalcone, vennero assegnate all’Italia, altre – gran parte dell’Istria e Fiume – alla Jugoslavia.

Un caso particolare è quello di Pola: inizialmente prevista tra i possedimenti italiani, per la sua posizione geografica sarebbe stata raggiungibile solo via mare. Il 26 luglio 1946 il Comitato di Liberazione Nazionale di Pola raccolse 9 496 dichiarazioni familiari scritte, per conto di 28 058 abitanti su un totale di circa 31 000, che affermavano di voler abbandonare Pola qualora venisse assegnata alla Jugoslavia. La città fu poi effettivamente annessa allo Stato di Tito e si verificò un esodo di massa: la tragedia delle foibe ha spinto la quasi totalità degli italiani ad abbandonare l’Istria.
Nell’inverno 1946-47, il CLN di Pola convinse il governo italiano ad inviare la motonave Toscana e altri sei motovelieri al giorno, per il trasporto delle masserizie e della moltitudine in procinto di abbandonare la città. Altri venti vagoni ferroviari al giorno sarebbero partiti da Pola per l’Italia, attraversando tutto il territorio istriano già sotto occupazione jugoslava.

Il CLN di Pola trattò con il governo di Alcide De Gasperi anche a proposito della necessità di chiedere l’autodeterminazione per i territori giuliani, al fine di conservare Pola e l’Istria all’Italia. Ma lo Stato italiano non si sentì forse in grado di controllare le condizioni specifiche di eventuali plebisciti, che in Istria, dove era ancora vivo il terrore delle foibe, si sarebbero svolti sotto le minacce e le intimidazioni degli jugoslavi che la occupavano militarmente. Con ogni probabilità temette inoltre che, giocando la carta del plebiscito, avrebbe perso l’ Alto Adige, abitato in maggioranza da tedeschi. Anche il CLN di Trieste fu cauto e così i giuliani stabilitisi a Roma.
La problematicità dell’esodo

Alcuni emigrarono in Europa o in altre parti del mondo, ma la maggior parte degli esuli si rifugiò oltre il nuovo confine, nel territorio rimasto italiano (soprattutto a Trieste e nel Nord – Est).
Questi esuli non soltanto vissero il dolore della cacciata dalla patria, ma anche in Italia furono sottoposti ad una fredda violenza. Non venivano considerati italiani a tutti gli effetti e la difficoltà di accoglierli in un momento di grande tragicità come il secondo dopoguerra spinse molti alla diffidenza e alla malsopportazione nei loro confronti. Rifiutati due volte, dalla Jugoslavia e dall’Italia, dalla terra in cui erano nati e da quella d’origine, perseguitati da Tito e malvisti dal governo del nostro Paese, gli esuli istriani dovettero fare i conti prima con la diffidenza ed il rifiuto, poi con il silenzio che ha ammantato per anni la loro storia, cancellando un’identità difficile già in partenza.
La giornata del ricordo e l’importanza della memoria

Oggi, 10 febbraio, è la giornata del ricordo, né più né meno di un rito, se alla memoria non si accompagna una consapevolezza e quindi un’azione.
Il nostro dovere è quello di ricordare per cambiare, per non ripetere l’errore di rimanere indifferenti o l’orrore di essere attivamente complici di questa disattenzione e di questo rifiuto.
Quella delle foibe è una storia che dovrebbe farci riflettere soprattutto in tempi come questi, in cui altri rifiutati premono alle porte dell’Europa con i piedi scalzi nella neve, proprio negli stessi territori in cui i nostri progenitori italiani venivano gettati nelle foibe.