Lettera alla Scuola4 min di lettura

Cara scuola,
avverto da tempo un forte bisogno di scriverti, per dire tutto ciò che non hai mai voluto ascoltare. Troppe volte mi hai zittito e ridotto al silenzio, troppe volte mi hai tolto la parola e mi hai fatto tacere, perché ciò che penso, per te, non è importante. Ti ho scelta tra molte perché credevo che mi avresti accompagnato in un cammino di crescita, che mi avresti reso, prima di ogni altra cosa, un individuo e un cittadino migliore. Se ti scrivo, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Fin dal primo giorno, ti sei convinta che io fossi un menefreghista sfaticato, un alunno presuntuoso che non aveva voglia di fare e che, come tale, non avrebbe mai detto niente di sensato. Ti sei basata esclusivamente sulle interrogazioni, non sulla crescita personale o sulle competenze: per te ha più valore una lezione imparata a memoria che una elaborata personalmente. Tu stessa ti contraddici quando affermi che memorizzare non è ciò che chiedi: non appena propongo un pensiero critico e divergente, vengo tacciato di mancato studio e rimandato a posto con un brutto voto. La voglia di studiare sarà sempre meno se veniamo considerati come macchine da studio, come oggetti a tutti gli effetti, anzi – meglio – come numeri: io non sono uno studente, sono quello che non va oltre 6.5 e che se non si mette a studiare non varrà nulla (dunque, secondo il tuo ragionamento, non ho diritto di pensare, di intervenire, di dire la mia). Allo stesso modo, anche il mio compagno di banco non viene visto come persona: non va sotto l’8 e non può far altro che puntare all’eccellenza. Molti professori sono stanchi di ripetere le stesse cose da vent’anni e spiegano in modo passivo e svogliato. Di conseguenza, le lezioni sono pesanti, viene meno la voglia di seguire, si perde la concentrazione. Non ci sono iniziative che non siano legate allo studio (come i gruppi di recupero). Non c’è NULLA che possa far venir voglia ad uno studente di impegnarsi se non l’angoscia del “se non prendo almeno il 6 non valgo nulla”. Non tieni conto delle nostre necessità, ma di quelle che tu credi lo siano. Non esalti la persona, ma il voto, e disprezzi il carattere, il dissenso, ogni punto di vista che non si assoggetta mestamente, ma dice la sua. Sei selettiva nelle tue attenzioni: prediligi gli studenti che rispondono a certi canoni, quelli dediti allo studio, che si mettono a frutto in ogni modo per raggiungere buoni risultati. Un élite di persone con certe caratteristiche può andare avanti, gli altri no. Non ti sono stati affidati dei singoli, ma gruppi di studenti: non devi lasciare indietro nessuno. Non puoi operare una selezione e dedicarti solo a chi ottiene le valutazioni migliori. Del resto, neppure chi ha il tipo di intelligenza che apprezzi viene valorizzato pienamente: non ci sono programmi di consolidamento o approfondimento ed in generale le occasioni di confronto e arricchimento sono scarse.
All’inizio, dopo un brutto voto, cercavo di recuperare dando il massimo, per dimostrarmi all’altezza dei tuoi meccanismi. Sono rimasto deluso: la tua opinione su di me è una prima impressione che non trovi la forza – o la voglia – di rivalutare. Ho anche smesso di provarci, perché ogni miglioramento, seppur minimo, non mi viene riconosciuto. Non cerchi altro che il voto, ignorando l’insegnamento. Ogni due giorni ci fissi un compito in classe, le interrogazioni hanno un ritmo serrato. Il tempo dell’apprendimento viene soppiantato dall’ansia della verifica. Se chiediamo di rallentare, veniamo derisi o sgridati. In un periodo come questo, in cui molti punti di riferimento sono venuti meno, dovresti essere la nostra ancora, invece ci sommergi di verifiche. Trasmetti ansia, apprensione, senso di inadeguatezza. Potresti fare centinaia di cose per provare a migliorarti, potresti fare molto di più.
Ti sogno diversa, fisicamente o digitalmente sempre aperta, che includa tutti i progetti degli studenti, che ad oggi vengono realizzati all’esterno, senza il supporto che potresti darci. Vorrei non solo lezioni frontali, ma spazi e possibilità per metterci in cerchio e far nascere discorsi che sentano le voci di tutti quelli che vogliono partecipare. Vorrei che durante i colloqui scuola-famiglia gli insegnanti sapessero dire qualcosa di me che sul registro non c’è scritto. Ma questo non succede, e noi rimaniamo numeri in un sistema sbagliato.
Uno studente.

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